Tra rivoluzione e restaurazione

Mister Mirko Cudini (foto: Antonello Forcelli)

La giostra continua a girare. Vertiginosamente. Fuori un altro. Che Foggia non fosse Brighton era lapalissiano, da qui però a immaginarsi una novella Waterloo in salsa rossonera ce ne passava. Il freddo artico dello Zaccheria ha congelato anche la delusione. L’eccitazione per una filosofia di gioco fondata sulla garra colettiana (“Venti animali in campo”, il suo mantra neppure politicamente troppo corretto!) e sull’ideologia dezerbiana si è “svaporizzata” (per usare un termine caro a Natalina, la famosa perpetua di “Don Matteo”) in un soffio primordiale d’inverno. L’entusiasmo rinnovato della proprietà (o almeno era questo che filtrava dalle segrete stanze di via Gioberti!) si è raffreddato in fretta. Il fiume della speranza (di un riscatto immediato) si è prosciugato come un rivolo ostaggio della secca prolungata. Restano allora solo le crepe. Profonde. Con il tifo organizzato… e con la gente oramai disincantata. E pure impigrita!

Tre partite e sto! L’epoca dei sogni è finita. Nessuna accusa particolare al duo Coletti-Vacca. Non c’erano i tempi tecnici (e gli interpreti giusti!) per introdurre meccanismi e concetti complicati. Occorreva infatti cambiare pelle a un gruppo che appariva logoro e per questo servivano perizia, esperienza in panchina e una salutare dose di pragmatismo. C’è un momento per rivoluzionare e uno per salvare… il salvabile. Che è quello che toccherà fare adesso a Mirko Cudini, appena tornato in sella al destriero rossonero da cui era stato disarcionato appena poche settimane fa. È scoccata dunque l’ora della restaurazione. Dei valori basici. Primo non prenderle. Nove gol in tre incontri (e potevano essere anche di più!) dipingono uno scenario da apocalisse difensiva. Errori personali, tecnici o di concentrazione, di reparto e di squadra: il catalogo è ampio e copre l’intero arco costituzionale di ciò che non va fatto, soprattutto quando si naviga tra coloro che… son sospesi o nel mezzo del cammin di una graduatoria che si è fatta sempre più inquietante. A Cudini toccherà invertire la rotta. Oltre che ridare nerbo emozionale a una compagine che dovrà necessariamente (visto il ritorno del mister marchigiano) cambiare. È scontato, infatti, che D’Artagnan vorrà giocarsela con alcuni pretoriani (ecco perché ha chiesto Tenkorang già allenato a Campobasso) e senza chi magari non condivideva le sue idee tattiche e le sue scelte

Siamo al canto de la Revolución, dunque! Non poteva essere differente. Molti hanno salutato, altri lo faranno. Il volto del Foggia sarà inevitabilmente stravolto. Facce nuove senza le scorie di una storia che forse – e lo diciamo sommessamente – doveva essere interpretata parecchio prima. Già in estate. E sì perché – evidentemente – il «magico» playoff perso in finale con il Lecco aveva scritto i titoli di coda di una formazione che non è stata capace di resettare. Che non ha succhiato linfa dalla mortificazione griffata Bonacina per scatenare energie ri-sorgive. Serviva – con ogni probabilità – un occhio societario attento (e non traviato da improbabili ricorsi!) che spiasse con lucidità le motivazioni nervose della truppa reduce dallo smacco “lumbard”. Bisognava avere forza e lungimiranza per ripartire da zero con elementi non “inquinati” da un ipotetico desiderio di rivalsa rivelatosi alla lunga un pericoloso boomerang caratteriale. Il Foggia “tosto e cascudo” dei vari Garattoni, Frigerio, Vacca, Schenetti, Di Noia, Peralta ecc… si era esaurito nel catino del Rigamonti-Ceppi, ai confini con… quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno (che meraviglia i Promessi Sposi!). E l’avvio incoraggiante della stagione in corso (che – lo ammettiamo candidamente – ci aveva prepotentemente illuso!) non era stato altro che un effimero pasillo de honor a quanto doveva accadere e non era accaduto.

Oggi bisogna focalizzarsi sulla classifica. C’è da completare il mercato pensando a ricostruire morale, atteggiamento e ambizioni. L’obiettivo è ritrovare unità d’intenti e credibilità agli occhi dei tifosi. Il Foggia resta il Foggia. Ovvero un patrimonio di tutti. Il cuore di una città che pulsa ancora. Nonostante le sue pene e le sue “prigioni”…