Riforma dei campionati, sarà la volta buona?

Partiamo da una premessa: con 100 clubs professionistici l’Italia è un “unicum” nel calcio europeo.

Neanche la ricca Inghilterra annovera tante società professionistiche per cui, finalmente, si inizia a parlare di riforma dei campionati non dimenticando che l’attuale sistema produce una voragine di debiti, cifra oscillante dai 5 a 5,5 miliardi.

Sembrerebbe tutto semplice ed invece non è così, e promettendo al paziente lettore che torneremo sull’argomento cerchiamo di riassumere il ventaglio di proposte/richieste: innanzitutto serie A da 20 a 18 squadre con conseguente riduzione del numero di retrocessioni dalla serie A alla B, con dimezzamento del paracadute (da 60 a 30 milioni) per chi retrocede dalla A alla B e devoluzione dello stesso alle società di Lega Pro nel frattempo “dimagrite ” da 60 a 40 ed accorpamento della Lega di B e Lega Pro in un’unica Lega.

Tutti d’accordo? Manco per idea. La Lega di A, che ricordiamo produce l’85% dei ricavi del calcio e “mantiene” tutto il sistema, conta solo il 12% in Consiglio Federale contro il 34% della Lega Nazionale Dilettanti, della serie io pago e tu governi, e 3 consiglieri su 21 e pretende un maggior peso decisionale.

Le big del calcio italiano non si fermano qui: minacciando la creazione di un modello di gestione simile alla Premier League, con contestuale scissione dall’attuale sistema, chiedono la reintroduzione dei benefici del Decreto Crescita, costo per l’Erario 60 milioni l’anno e  fortemente avversato da Calcagno, presidente Associazione Italiana Calciatori e vice presidente FIGC, allentamento delle norme sul tesseramento degli extracomunitari, al momento le più rigide in Europa, reintroduzione delle sponsorizzazioni delle società di scommesse.

Queste, sinteticamente, le carte sul tavolo in attesa dell’Assemblea Generale dell’ 11 marzo: sarà la volta buona? Ah, saperlo . . .

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