La brezza soffia leggera. Non è un vento dirompente. Ciò che importa è la direzione. Che – semplicemente – è cambiata… Ha strambato, invertendo la rotta. Sia chiaro: nessun approdo sicuro si vede all’orizzonte. È ancora tempo di remare controcorrente. In rigoroso e salutare silenzio. Il Foggia – comunque – sta rialzando la testa, con fatica inenarrabile ma con sistematica coerenza.
Si è affidato alla concretezza di Zauri. Servivano scelte nette e lui le ha fatte. Il “ragazzino” in campo, innanzitutto. Geometrie, freschezza e quel sano menefreghismo figlio dell’incoscienza. Non ha strombazzato ideologie, il mister. L’espressione “il mio calcio” non gli appartiene. Lui resta fedele al suo passato di giocatore pratico, intelligente e ruvidamente efficace.
Emettere una sentenza è – per il momento – francamente improponibile. Siamo appena alla fase delle “indagini preliminari” e i giudizi vanno ponderati con equilibrio e sobrietà. Il processo – però – si sta arricchendo di tanti piccoli indizi. Tutti a favore! I punti sono il primo e il più sostanzioso. Sette in tre partite, un buon bottino. Certo, le squadre affrontate non rappresentavano l’elìte del torneo, ma la matematica non è un’opinione! La reazione alle avversità è il secondo. Il calcio è fatto di dettagli e circostanze. Appena qualche settimana fa, il jolly mancino di Castellano avrebbe provocato uno tsunami di negligente rassegnazione nella truppa rossonera. Con la Turris la reazione è arrivata. Il colpo di testa di Nocerino – invece – si sarebbe accomodato in fondo al sacco. Domenica – al contrario – ha appena flirtato con il palo! Solo fortuna? Un gioco di specchi impazziti patrocinato dalla Dea bendata che si diverte a cambiare ogni volta il riflesso? Nemmeno per sogno! Il Foggia è riuscito nelle ultime tre sfide ad addomesticare gli episodi.
In principio è stata la scivolata di Zunno che ha evitato il gol della Juve Next Gen. Sarebbe stata una tragedia greca! In ultimo, sono giunti i salvataggi di Salines e Felicioli a Torre del Greco. Il 2-2 era cosa fatta. E la sindrome da incompiuta avrebbe nuovamente alimentato gli ondivaghi umori dell’ambiente rossonero. In mezzo a queste due situazioni (che potevano diventare esiziali per il già precario stato di salute dei satanelli), si è visto peraltro altro: un modulo abbastanza armonico, tanta abnegazione e qualche miglioramento tattico e atletico!
Ma soprattutto si è rivisto splendere il sole del talento. Quello indiscusso (seppur a volte latitante) di Vincenzo Millico. Il pibe si è scrollato dubbi e paure. Ha ringhiato alla sua maniera. Con la maestria di un piede edulcorato. Ha finalmente sbuffato. Non è rimasto in trincea tenendo la posizione come un soldatino qualsiasi. È rinato. Ha pettinato la sfera, sinistro destro. E ancora, destro sinistro! Ha voluto lanciare un monito a chi lo criticava (anche giustamente, sia chiaro!): Millico è ancora il menino del Filadelfia! Quello capace d’incantare… “O campeão voltou” (il campione è tornato), canta la torcida brasiliana quando festeggia gli eroi di una conquista. Vincenzino è la chiave di violino di uno spartito che in sua assenza suona sghembo. Zauri lo ha lasciato libero, lui si è ripreso la scena. Ha disegnato due capolavori. E li ha realizzati proprio – e forse non è un caso – il giorno in cui è entrato in campo non più da capitano (ma da vice). Del resto, la fascia va spesso al leader caratteriale, la palla al… fenomeno. Per informazioni chiedere al Barça di Puyol e Ronaldinho!
In tempi non sospetti, quando il «10» rossonero si mortificava tra fisioterapie e panchine, dicemmo che un Foggia competitivo non poteva prescindere dal suo craque d’origine sabauda. Al Liguori è arrivata una prima conferma, seppur parziale. Attendiamo ulteriori riscontri (ma siamo fiduciosi!). Intanto, però, la gente di Capitanata è tornata a sorridere. Dopo tanto dolore. Ed è anche e in particolare per questo che ringraziamo Millico e le sue magie, sperando che il lieve alito di libeccio sollevato da Vincenzino si trasformi presto nell’impetuoso maestrale del riscatto…