Lo diciamo sommessamente. Così, per la paura di non ricadere poi nella disillusione. C’è un barlume di luce in fondo al tunnel. Appena una scintilla per carità. Nessun trionfalismo bigotto e anacronistico. Solo l’apprezzamento per un’idea d’orgoglio ritrovata. Lo spirito è stato differente, nel 3-2 al Monopoli lo avevamo già ammirato come un arcobaleno che illumina “al calar” della tempesta. L’umiliazione di Torre del Greco (e l’abbandono della gente stanca e delusa!) ha evidentemente svegliato la truppa. Perdere senza lottare è inammissibile. È l’unica sconfitta che non si tollera.
Il sereno però sta tornando. Nella purezza della semplicità. Concetti chiari. Rispetto per la maglia, innanzitutto. Più avanti, magari, ognuno andrà per la sua strada. This is football. Schenetti è stato riaggregato al gruppo. Resterà solo sino a giugno? Perfetto. È l’oggi del Foggia, del domani non v’è certezza! Tutti utili alla causa. Nel rigore della professionalità. Con Andrea non è stato fatto l’errore di portare al tribunale dell’”incomunicabilità” una vicenda risolvibile con due parole e una stretta di mano. I p’ me Tu p’ te, e tutti insieme per il Foggia. Questo è una condizione non negoziabile. È quasi un dogma di Capitanata.
Poi c’è il terreno di gioco. L’espressione del lavoro settimanale. Anche lì ci sono alcuni teoremi facili da dimostrare. Il primo. La necessità della difesa a tre. Per un imperscrutabile motivo e a parte la parentesi zemaniana (a proposito, auguri di cuore al Maestro per una pronta guarigione!), sembra che il Foggia dell’ultimo decennio sia geneticamente intollerante alla linea a 4. In principio fu Stroppa, che pure con il 4-3-3 aveva costruito la stagione della “nemesi”, l’anno domini 2016/17. La serie B non ammetteva però lustrini e paillettes, i tre avanti erano un orpello demodé: e così Giovannino virò sapientemente verso il 3-5-2 (che oramai ha ideologicamente sposato) e mantenne la categoria sfiorando i playoff (grazie al corposo aiuto arrivato dal mercato di gennaio). Da lì in poi, ogni tentativo di «pensare a 4» è miseramente fallito. Anche D’Artagnan Cudini ha abiurato il suo sistema preferito per compattare i ragazzi e raccogliere punti salvezza. Più avanti, può darsi che ci riprovi, per il momento l’undici rossonero è in fiducia soltanto nella sua comfort zone a tre.
A questo aggiungiamo che il Foggia “new deal” sembra avvicinarsi ai principi base di un football redditizio (almeno al minimo sindacale) per un torneo “infame” come quello di Lega Pro. Difensori che difendono. Pochi fronzoli, l’estetica lasciata all’outfit di spogliatoio. Un mediano, nello specifico Odjer, che sorveglia il campo, famelico, indisponente nella sua presenza ovunque (uno dei segreti della Francia Campione del Mondo nel 2018 era il piccolo Kanté); un facitore di gioco, il talentuoso Millico, a regalare superiorità, assist e strafottenza; e “dulcis in fundo” uno stoccatore di ruolo. Merce rara in zona da quando Fabio Mazzeo (che dalla sua aveva un’intelligenza finissima) ha imboccato il viale del tramonto e Ferrante smarrì sul più bello le coordinate della porta. Santaniello è il terminale offensivo del Foggia edizione 2024, è un centravanti che gioca per la squadra ma che – delitto di lesa maestà all’inverso! – la butta pure dentro…
Semplicità dunque e un pizzico di normalità in più per intravedere la luce. Non è nulla per cui “eccitarsi smodatamente” o suonare le trombe di una rinnovata ambizione. È appena una sorta di “reddito di dignità” per ricreare un ambiente salubre e togliersi dalle sabbie mobili della paura. Sarà vera gloria? Lo scopriremo a breve, perché dopo due scollinamenti poco impegnativi (Monopoli e Brindisi) la salita torna a farsi impervia con cinque gare da brividi (Crotone, Benevento, Picerno, Sorrento e Juve Stabia in rapida successione). Intanto però il vento del terrore ha smesso di soffiare. E già questo non ci pare cosa da poco…