1 settembre. Data emblematica per guardarsi alle spalle e riflettere sull’estate appena trascorsa. Allora una riflessione va fatta, innanzitutto, sugli ultimi mesi rossoneri e sul loro protagonista silenzioso.
Quella nel capoluogo dauno, poi, è stata una stagione estiva particolarmente bollente, e non soltanto per le temperature raggiunte. Cominciata con l’avvicendamento societario che ha visto l’imprenditore barese Nicola Canonico porsi al vertice del nuovo corso del Foggia Calcio, è proseguita col romantico ritorno a casa del Maestro più amato dai foggiani e si è conclusa col rinnovo contrattuale del calciatore più in vista.
Nel mezzo, una rifondazione e una rivoluzione che portano impresso a caratteri cubitali il nome del proprio artefice. Peppino Pavone non lo scopriamo di certo oggi. Abbiamo tutti, scolpita nei ricordi più cari o nei racconti dei più adulti, l’immagine del grande Foggia che fu. Definito per antonomasia “Il Foggia dei miracoli”, sappiamo bene che dietro quel piccolo miracolo di provincia ci sono state le mani attente di un direttore che come pochi altri ha saputo imprimere con tanto vigore il proprio marchio alla sua creatura.
Oggi, come allora, Pavone ha lavorato con criterio e lungimiranza, per regalare a Zeman la rosa più in linea col suo modo di fare calcio. Ha trattenuto a Foggia i quattro giocatori di movimento che su tutti hanno fatto le fortune di Marchionni nella passata stagione. Da Garofalo a Di Jenno, passando per Rocca fino ad arrivare a Curcio, vera ciliegina sulla torta di un mercato che più volte ha visto il fantasista sul piede di partenza.
Ha poi sistemato meticolosamente ogni reparto del campo, a cominciare dalla porta, dove ha piazzato il siciliano Fabrizio Alastra, reduce da due stagioni in prestito al Pescara e con un passato nel Palermo e nel Benevento, il piemontese Giacomo Volpe, che vanta addirittura un passato juventino, e il giovane portiere argentino Joaquin Dalmasso, strappato a titolo definitivo dal San Severo.
La difesa, invece, l’ha completamente ridisegnata. Ceduti tutti, o quasi, i titolari dello scorso anno, ha preso Toni Markic, che nelle ultime due stagioni ha collezionato 38 presenze con la Viterbese nel campionato di Lega Pro, Davide Di Pasquale, in forza alla Sambenedettese nelle ultime cinque stagioni, con cui ha disputato 73 partite, Alessandro Garattoni, classe 1998 ed ex terzino destro della Juve Stabia, Manuel Nicoletti dal Monopoli, Giacomo Sciacca dalla Vibonese, il cui nome rievoca dolci ricordi al popolo rossonero, Pietro Martino dalla Clodiense, con un passato nelle giovanili del Sassuolo, e Domenico Girasole dal Picerno.
A centrocampo ha puntato su nomi decisamente più blasonati. All’acquisto del milanese classe 2000 Andrea Rizzo Pinna dalla Vis Artena, ex Palermo, Spal e primavera dell’Inter, hanno fatto seguito quelli di Davide Petermann, ex Palermo in prestito al Cesena lo scorso anno, del veronese Filippo Tuzzo, alla sua prima esperienza lontano dal Chievo, e dell’ex Empoli Andrea Gallo, tutti a titolo definitivo. Sono arrivati con la formula del prestito, invece, i giovanissimi centrocampisti classe 2001 Marco Ballarini dall’Udinese e Sergio Maselli dal Lecce.
I fuochi d’artificio, però, il buon Peppino li ha conservati per l’attacco, dove ha preso a titolo definitivo il talento albanese Olger Merkaj, primo colpo della nuova era targata Zeman, e il giovane vicentino Vittorio Vigolo, proveniente dalla primavera del Milan e neocapocannoniere del Campionato Nazionale Under 17.
Tre operazioni distinte ma ugualmente geniali, infine, sono quelle che hanno portato a Foggia il centravanti argentino Alexis Ferrante, già protagonista di diverse stagioni in serie cadetta con la maglia del Brescia e vincitore dello scorso campionato di Lega Pro con la Ternana, acquistato con diritto di riscatto e controriscatto, il fantasista scuola Inter Davide Merola, prelevato dall’Empoli in prestito secco, ed ultimo in ordine di tempo l’esterno offensivo Andrea Di Grazia, soffiato al Pescara con diritto di riscatto.
Un lavoro magistrale, degno del miglior stratega. Perché, se da un lato è vero che il riscontro effettivo di tale prestigio va cercato nei risultati, dall’altro è lecito aspettarsi che una rosa allestita con queste premesse possa davvero primeggiare sulle altre. Il direttore, ancora una volta, ha messo in piedi la squadra. Starà al mister e a tutto il gruppo, adesso, dimostrarne il valore.